Con l’espressione teatro sociale si vuole intendere quell’arte che tutti possono essere in grado di praticare, ossia un qualcosa che non è unicamente destinato ad un pubblico qualificato e che si va a vedere in abito da sera, ma un modo per dare la possibilità di esprimersi anche a chi non è un professionista affermato, a chi cerca di esternare le sue emozioni e la sua passione per quest’arte su un palcoscenico, pur sapendo di non essere un professionista. Sono molti gli attori teatrali di professione che tengono a separare bene le due cose, quasi come se esistesse una serie A ed una serie B all’interno del loro mondo e ciò, a dire il vero, non è che deponga poi molto bene.
Purtroppo sono molti gli attori professionisti che, se intervistati, rispondono a malapena quando gli si chiede se nel loro curriculum c’è anche qualche esperienza di teatro sociale, e quelli che rispondono non fanno certo una bella faccia; per molti di loro infatti, partecipare ad iniziative di teatro sociale rappresenta un qualcosa di cui ci si debba quasi vergognare, o almeno di cui non vantarsi. Per fortuna i professionisti, ovvero gli attori veri, quelli che prima ancora di essere attori sono persone serie che sanno vivere, non sono tutti così, anzi in molti appoggiano attivamente il teatro sociale.
Il teatro sociale in Italia
Si può dire che in Italia la nascita del teatro sociale coincida con la fine del fascismo e della seconda guerra mondiale; l’idea era quella di dar vita ad una nuova forma di espressione dell’arte intesa come impegno civile e morale, quasi un servizio pubblico che desse ai cittadini comuni la possibilità di praticare teatro anche non essendo dei professionisti. Come del resto accade in quasi tutti i campi dell’arte e della cultura in generale, storici e registi teatrali non riuscivano proprio ad intendersi, come successo in Italia con Giorgio Strehler, uno dei maggiori registi teatrali del novecento italiano, e Mario Apollonio, uno dei più stimati critici e storici del teatro italiano, dalla cui divergenza di idee nacque in pratica il teatro Piccolo di Milano.
Il 26 Gennaio del 1947 la Giunta Municipale della città di Milano designò il Palazzo Carmagnola (bellissimo edificio storico milanese risalente al 400) come sede del neo costituito Teatro Piccolo di Milano, mettendo a disposizione degli utenti un palcoscenico di circa 35 mq e circa 500 posti a sedere; fu senza dubbio una gran bella vittoria per Giorgio Strehler e Paolo Grassi, i due promotori di tale iniziativa.
Il Teatro Piccolo di Milano
Se parliamo di un teatro d’arte per tutti, è implicito che le opere prodotte non abbiano scopo di lucro e non siano volte al solo compiacimento del pubblico o alla glorificazione degli interpreti; il teatro sociale avrebbe infatti avuto unicamente ambizioni artistiche, quindi senza una gestione amministrativa di carattere speculativo, ma con dei programmi ben definiti e volti a riavvicinare anche i ceti meno abbienti al teatro, in netta controtendenza con la società dell’epoca.
Il filo conduttore era dunque quello dell’apertura a tutti, con prezzi super accessibili, forti sconti per i gruppi organizzati, ed abbonamenti ‘popolari’; con questi progetti di base ben chiari e definiti, il 14 Maggio 1947 andò in scena l’opera d’esordio del Teatro Piccolo di Milano, ovvero l’Albergo dei Poveri di Maksim Gor’kji, diretta da Giorgio Strehler, che oltre a dirigerla vi ha anche recitato in prima persona. Nella sua prima stagione, il Piccolo di Milano ha offerto anche le rappresentazioni di altre commedie tra le quali Il Mago dei Prodigi di Pedro Calderòn, Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, Le Notti dell’Ira di Armand Salacrou.
La drammaterapia
Siamo arrivati ormai nel decennio che va dal 1960 al 1970, e quello era il periodo in cui il sentimento più diffuso tra la gente era l’anticonformismo, la ribellione ad ogni tipo di schema, la voglia di evadere e creare; nascono le prime associazioni, e lo fanno proprio mentre la famiglia, intesa come istituzione ed ambiente affettivo che favorisce la crescita e lo sviluppo di un individuo, crolla e perde il suo valore, iniziando ad essere considerata luogo di repressione, di controllo di ogni forma di spontaneità creativa per conto del sistema.
E’ in questo scenario che nasce e prende piede poco a poco il concetto di teatro terapeutico, un nuovo modo di intendere il teatro, fatto di persone che raccontano in modo naturale il loro ambiente di vita, come ad esempio prostitute che portano in scena la loro storia raccontandola come il vero dramma sociale che in effetti è, profughi di guerra che narrano di massacri visti con i propri occhi, o anche bambini che vogliono sfogarsi per la situazione familiare di disagio nella quale sono costretti a vivere.